La vita a bordo dei sommergibili

Tutti gli equipaggi dei sommergibili della k.u.k. Kriegsmarine impegnati in crociere di guerra, dettero prova di grande coraggio e spirito di adattamento, nonostante i notevoli disagi di varia natura che dovettero sopportare nelle lunghe navigazioni di pattugliamento in mare. La conformazione dei sommergibili non era particolarmente adatta alla navigazione in emersione, soprattutto con mare agitato ed al traverso, per cui a volte si cercava di trovare rimedio immergendosi. Ma questa soluzione, a causa della ridotta autonomia subacquea delle batterie elettriche, le quali permettevano poche miglia di autonomia a velocità ridottissime, le esalazioni di vario tipo, le alte temperature e comunque i rollii sottomarini che continuavano anche a profondità di 20-30 metri, non rappresentava, a volte, una soluzione valida. Spesso le missioni venivano interrotte per l’impossibilità di ricaricare gli accumulatori.
A causa dell’assenza di un valido sistema di aerazione, innumerevoli furono i casi di avvelenamento tra l’equipaggio soprattutto tra gli elettricisti e macchinisti, per i vapori di gasolio e cloro che provocavano svenimenti, perdite di conoscenza, stato confusionale, itterizia, catarri intestinali con vomito e dissenteria.
A questo si cercava di porre rimedio, quando possibile, aprendo il portellone d’imbarco dei siluri per ottenere una migliore ventilazione ed adoperare il personale silurista per sostituire temporaneamente quello di macchina. Continua era la manutenzione delle guarnizioni dei motori e delle condutture del carburante. Le temperature interne superavano spesso i 35° ed anche i 55° in sala macchine, temperature che, sommate all’umidità che raggiungeva a volte il 100 % ed alla presenza di scarafaggi, creavano comprensibili disagi, non ultimo anche per la conservazione delle derrate alimentari, rendendo il cibo immangiabile e causando, anche per questo, casi di avvelenamento tra l’equipaggio.
Vi erano poi i frequenti guasti tecnici di varia natura, come ad esempio infiltrazioni d’acqua di mare dovuti alla cattiva tenuta delle paratie stagne e delle guarnizioni dei periscopi, frequenti avarie alle bussole giroscopiche.
Il dover vivere in queste condizioni infernali, in spazi ristretti e sottoposti a stress notevoli creava spesso problemi di natura psicologica, con casi di claustrofobia ed esaurimento nervoso. Tutto questo fa comprendere a quale sforzo immane erano sottoposti gli uomini in grado di lavorare nell’esiguo spazio interno dei sommergibili, impegnati a poter garantire tutti i servizi di guardia nell’arco delle ventiquattro ore, per assolvere ai compiti delle missioni a loro assegnate.
Le missioni di guerra potevano durare di norma dalle quattro alle sei settimane (alcune arrivarono anche ad otto) ed il problema di rifornire la cambusa con cibi atti a conservarsi per lunghi periodi di tempo senza poter disporre di impianti di refrigerazione, era di non facile soluzione. Anche le alte temperature, le esalazioni dell’olio delle macchine e l’alto tasso di umidità presente all’interno dei battelli non aiutavano di certo la conservazione delle derrate alimentari, pertanto trascorsi quattro – cinque giorni dalla partenza nei quali venivano consumati pane, frutta e carni fresche, il menu comprendeva solo cibi in scatola, replicandosi in modo esasperante.
L’ equipaggio era costretto a vivere di gallette (“Zwieback”) che venivano imbarcate in grande quantità in casse piombate. Durissime, per mangiarle, bisognava prima spezzarle con qualche attrezzo. Nelle sue memorie il comandante Hersing afferma che “[…] se qualcuno aveva poi la fortuna di trovare nel suo pane anche qualche verme aveva un po’ di grasso come companatico”. Le altre vivande erano costituite in genere da carne in scatola soprannominata dai marinai “insalata di spago” poichè questa carne di colore bruno che veniva riscaldata insieme alle patate, assumeva, una volta reidratata, l’aspetto di spaghi sciolti di una corda.
Alcuni comandanti avevano l’abitudine, prima della partenza, di inviare dei marinai nell’entroterra della base per barattare provviste con i contadini.
Il Korvettenkapitän (capitano di corvetta) Morath, nelle sue memorie, così riferisce: “[…] prima di prendere il largo, usavo mandare l’equipaggio con zucchero e maccheroni nei montuosi dintorni delle Bocche di Cattaro, dove scambiando la mercanzia si riusciva sempre a mettere insieme una buona provvista di uova”.
La piccola cambusa disponeva di una cucina elettrica, servita dal cuoco di bordo chiamato in gergo, con un termine sloveno-croato, “Smutje”, il quale fungeva anche da cameriere per gli ufficiali che pranzavano nell’attiguo quadrato, un vano che disponeva di una panca sui tre lati, un tavolo per quattro persone e delle mensole.
Piatti e stoviglie erano di latta. Quando la cucina era in funzione emetteva densi vapori che appannavano le lampadine e producevano condensa sulle paratie. L’uso di bevande alcoliche a bordo era consentito e non mancavano vini tedeschi del Reno e del Palatinato o quelli Istriani: particolarmente gradito il bianco delle isole di Brioni. Tra i super alcolici erano disponibili cognac e rum.
Non c’era l’impianto frigorifero e l’inventiva degli uomini imbarcati sopperiva a volte a questa mancanza. Ad esempio un sistema per refrigerare le bevande consisteva nel legare saldamente delle bottiglie all’esterno della torretta ed immergersi quindi per una decina di minuti ad una profondità di circa cinquanta metri per poi riemergere e godersi il lusso di una bevanda fresca.
Solo il comandante possedeva – ma non su tutti i aommergibili – una minuscola cabina arredata con una cuccetta, un divanetto, un armadio, un lavabo, un grande specchio ed una scrivania che serviva anche da tavolo di rotta. Il personale aveva gli alloggi a prua con cuccette disposte a castello e ripiegabili verso la paratia di modo da poter consentire d’avere spazio per allestire la mensa, od in certi battelli anche solo amache.
Quando il battello era alla base, l’equipaggio veniva alloggiato in una nave appoggio, per la Iª Flottiglia Tedesca del Mediterraneo di stanza a Pola erano state messe a disposizione l’ “Adria” (ex “Radetzky”), varata al Cantiere San Marco di Trieste, di circa 4.000 tonnellate di dislocamento, il piroscafo del Lloyd Austriaco “Wien” ed il “Feuerspeier”, cioè l’ex nave casamatta “Erzherzog Albrecht”, di 6.679 tonnellate di dislocamento.
Per i membri degli equipaggi della IIª Flottiglia Tedesca del Mediterraneo con base a Cattaro, era invece stata messa a disposizione la nave appoggio torpediniere “Gäa”, di 12.130 tonnellate, che poteva ospitare sino a quattro equipaggi di U-Boot pari ad 80 uomini ed era inoltre dotata di un generatore da 7,5 kW per la ricarica degli accumulatori dei sommergibili.
Nonostante le notevoli difficoltà, effettivamente i sommergibilisti se la passavano molto meglio dei soldati in trincea anche se la pulizia personale lasciava alquanto a desiderare poichè la riserva d’acqua potabile andava contingentata, quindi con la bella stagione molto spesso il comandante faceva fermare il battello per permettere all’equipaggio il fare il bagno in mare e comunque gli uomini effettuavano giornalmente, condizioni meteo permettendo, la pulizia personale in coperta a turni di quattro / cinque.
Prima di affondare un vapore nemico o uno neutrale che trasportava merci non consentite, lo stesso veniva ispezionato alla ricerca di materiali e viveri. Veniva innanzitutto controllato il magazzino dei pezzi di riserva delle macchine, dove si potevano trovare materiali di scorta quali rame, ottone e gomma dei quali negli ultimi periodi di guerra c’era nella k.u.k. Kriegsmarine una gran penuria, al punto tale che certe parti dei battelli, come le tubature ed i giunti di rame, erano stati sostituti con materiali “surrogati di guerra”.
In secondo luogo veniva ispezionato il carico di viveri alla ricerca soprattutto di pane fresco, frutta, salsicce ed insaccati. Per evitare episodi di saccheggio e liti tra i marinai, le vivande erano trasportate sotto sorveglianza sul sommergibile. Alla fine della lunga navigazione si usava distribuire tra l’equipaggio quello che rimaneva e parecchi pezzi di prosciutto e lardo venivano spediti ai parenti in patria.
Una rara testimonianza delle condizioni di vita a bordo di un sommergibile della prima guerra mondiale venne data da Louis Garnier comandante del veliero francese “Emma Laurans” di 2.153 tonnellate, fermato e quindi affondato dal UB 52 tedesco il 10 dicembre 1916 al largo delle isole Canarie, che fu ospitato assieme al suo equipaggio per due giorni prima di essere fatto sbarcare sulle coste spagnole.
Egli rientrato in patria fornì un dettagliato rapporto per i servizi d’informazione della marina francese che recita, fra l’altro: “[…] il comandante tedesco Hans Walter parlava bene il francese, ma il suo secondo lo parlava alla perfezione e senza accento, gli altri due ufficiali lo parlavano discretamente ed i sottufficiali avevano una buona padronanza dell’inglese.
Il sommergibile era lungo circa 60 metri e largo 6 ed era armato con due cannoni da 100 millimetri, quattro tubi lanciasiluri ed otto siluri. Nessuna illuminazione. Tre periscopi si trovavano nella parte anteriore a 40 centimetri l’uno dall’altro. Antenne TSF di 8 metri d’ altezza.
I ricevitori radio erano vicino la cabina del comandante. Il sommergibile era dipinto in color tela bagnata, ma con la vernice vecchia di almeno tre mesi, quasi nessuna vernice sullo scafo che era in lamiera zincata.
Il carburante liquido era contenuto in serbatoi laterali che seguono la forma dello scafo e la loro capacità doveva essere di circa 250 tonnellate. A causa della forma di questi serbatoi, l’attracco è possibile solo sulla parte anteriore o posteriore. Notate la presenza di quattro paratie stagne.
Con il bel tempo l’equipaggio era vestito con stivali, pantaloni e giacca di pelle, cappello di tela cerata, guanti di pelle foderati con lana di pecora all’interno. Con il maltempo il personale indossava tute di gomma simili a quelle dei palombari.
Per un turno di guardia tre uomini sono sulla torretta, mentre altri due sono alla bussola, uno alla barra e tre in sala macchine. I quarti sono divisi in tre turni di otto ore. Il sottomarino manovra alla perfezione. Ci vogliono quattro minuti per eseguire la manovra d’immersione, ma il comandante ha detto che potrebbe immergersi ancor più velocemente. La velocità subacquea è di 10 nodi. Può stare in mare tre mesi senza effettuare rifornimento. Per i prodotti alimentari ed altri beni egli si rifornisce in parte sulle navi che riesce a fermare ed affondare dopo aver fatto evacuare l’equipaggio. La bussola è una vera opera d’arte. Ha un sistema elettrico, con un processo sconosciuto che gli permette d’essere adoperata in tutto il mondo a prescindere dai cambiamenti magnetici.
I membri dell’equipaggio mi hanno riferito che la costruzione di tale bussola è estremamente costosa, circa 40.000 marchi. I miei uomini sono stati ospitati nella sala siluri e sono stati trattati molto bene. In sala macchine i marinai tedeschi dormivano in amache, il comandante era alloggiato in una cabina, c’erano solo due letti a bordo uno per il comandante ed uno per il secondo ufficiale, essi ricevevano il medesimo cibo dei loro uomini. Le condizioni di vita di questo equipaggio sono assolutamente infelici e gli ufficiali mi hanno riferito d’ essere un po’ stanchi di questa guerra. L’acqua dolce non è fornita continuamente, non ci è mai stata data acqua per lavarci e per bere non ci veniva data che una quantità infinitesimale. L’aria è purissima e nonostante la ventilazione è sempre calda, va detto che eravamo in 64 persone in questo piccolo spazio. I vestiti sono sempre bagnati, imbevuti d’acqua marina e non vi è nessuna possibilità di asciugare. Naturalmente è severamente vietato fumare all’interno, ma il comandante ci ha autorizzato ad andare sul ponte a gruppi di cinque, in turni di mezz’ora, per fumare.
Secondo i tedeschi il sommergibile era partito da Kiel due mesi fa ed aveva affondato sino a quel momento 14 navi. Tra un mese avrebbero fatto rientro alla base dove sarebbe stato fermo due mesi per lavori. Durante questo periodo essi ottengono due settimane di licenza al ritorno della quale vengono messi in una caserma galleggiante dove riposano e si addestrano sino alla prossima missione”.
Rispetto ai più grandi e spaziosi sommergibili tedeschi, le condizioni di vita erano decisamente peggiori sui piccoli sommergibili della k.u.k. Kriegsmarine.
Il capitano di corvetta (“Korvettenkapitän”) della k.u.k. Kriegsmarine Georg von Trapp, che sarà poi a lungo comandante dell’ “U 14” (l’ex “Curie” francese) dal 14 ottobre 1915 al 13 gennaio 1918, racconta che, quando era precedentemente comandante dell’ “U5”, dall’aprile all’ottobre 1915, lui e il primo ufficiale erano dotati di due materassini gonfiabili. Il primo ufficiale lo gonfiava ogni volta a fiato, ma il materassino, poco a poco, si sgonfiava. Von Trapp non perdeva nemmeno il tempo di gonfiarlo e ci si stendeva sopra. Il resto dell’ equipaggio dormiva per terra