Admiral Tegetthoff (99)
Brigantino a palo da carico (yacht a vapore e ad elica)

Significato del nome:

Wilhelm von Tegetthoff, viceammiraglio, nato nel 1827, deceduto  nel 1871. Vincitore nel 1864 a Helgoland e nel 1866 a Lissa. Dal 1868 Comandante della Marina e Capo della Marinesektion.

Unità gemelle:

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Cantiere di costruzione:

Geestemünde (Germania), Cantiere  J.C. Tecklenborg;  impostazione: 1871;  varo: 13.4.1872;  completamento: agosto 1872;  prima prova in mare: 8.6.1872

Dislocamento:

circa  220 tonn.

Dimensioni:

scafo in legno

Propulsione:

apparato motore e caldaie costruite nello Stabilimento Tecnico Triestino di Trieste; potenza: circa 100  Hp

Velocità:

?

Equipaggio:

24  uomini

Storia:

Fu la prima nave della Marina Austro-Ungarica a portare il nome del vice-ammiraglio vincitore nelle battaglie navali di Helgoland e Lissa. Seguirono, anche se con il solo nome di “Tegetthoff“, la corazzata a casamatta costruita nel cantiere “San Rocco” di Muggia (vicino a Trieste) fra il 1876 e il 1881 e la nave da battaglia costruita nel cantiere “San Marco” di Trieste fra il 1911 e il 1913.
L’ “Admiral Tegetthoff” venne costruito per conto della società armatrice D.H. Wätjen & Co. di Brema. Fu progettata espressamente come nave da ricerca nelle acque polari, per scoprire un passaggio a settentrione dell’Europa, lungo una rotta nord-est, fra i mari artici.  Lo scafo era disegnato con una sezione progettata per sopportare la pressione dei ghiacci polari, in legno perché più flessibile. Era stata ideata dal Comandante a bordo Carl Weyprecht, che dette un profilo allo scafo tale da fare “galleggiare” l’ “Admiral Tegetthoff” sul ghiaccio, anziché venirne stritolata. La cosa funzionò perfettamente solo che la nave, una volta sollevata dalle pressioni, non tornò più in mare e non poté, di conseguenza, più navigare . I progetti della “Admiral Tegetthoff” saranno successivamente studiati da Nansen quando si tratterà di realizzare la “Fram” con la quale, grazie proprio a questo sistema, si farà trasportare dalla deriva, “galleggiando” sui ghiacci, fin quasi al Polo Nord. L’apparato motore a elica, realizzato dallo “Stabilimento Tecnico Triestino” fu montato dal macchinista Otto Krisch, come pure triestine erano le caldaie.
Completata nell’agosto del 1871, la “Admiral Tegetthoff“salpò l’anno successivo, a marzo, con lo scopo di esplorare le terre intorno al Polo Nord che all’epoca erano ancora sconosciute.

La missione aveva cominciato a prendere corpo nel 1871, quando Weyprecht si trovava a Vienna con Julius Payer, alpinista e cartografo e con Hans von Wilczek, nobile mecenate e principale finanziatore della missione. L’obiettivo era comunque quello di raggiungere lo stretto di Bering, non il Polo Nord. Fu costituito un comitato che raccolse le offerte per finanziare l’ambizioso progetto: vennero raccolti 222.616 fiorini e 70 corone.
Comandante in mare era destinato il capitano di vascello Carl Weyprecht, un eroe della battaglia di Lissa, mentre Julius Payer, cartografo boemo di indubbia fama, avrebbe avuto il comando sulla terra ferma.
L’equipaggio della “Admiral Tegetthoff” era quantomai variegato, testimonianza vivente dei vari popoli dell’allora duplice monarchia austro-ungarica. Più precisamente i marinai della spedizione erano istro-dalmati e quindi un misto di italiani e di croati, mentre gli ufficiali provenivano da varie parti dell’Impero, meno Carlsen che era norvegese. La scelta nella composizione dell’equipaggio fondamentalmente composto da istriani, quarneroli e dalmati suscitò grande sconcerto. Ma Weyprecht la giustificò con i seguenti motivi: quegli uomini erano forgiati al freddo dal vento di Bora, erano di carattere più gioviale e meno incline ad abbattersi con le difficoltà, bevevano meno dei nordici. A bordo c’erano poi due cacciatori tirolesi, gli ufficiali erano boemi ed il medico di bordo era ungherese. Alla fine, dei ventiquattro imbarcati, uno era triestino, sette fiumani, un istriano e quattro delle isole dalmate. A bordo quindi si parlava italiano (nel senso di dialetto istro-veneto), tedesco, ungherese, croato, inglese e francese. Il tenente di vascello Carl Weyprecht, comandante della spedizione, originario della Germania, aveva acquisito la cittadinanza austriaca con pertinenza alla città di Trieste, dove risiedeva ormai da anni. Lui stesso si presentava come “Carl Weyprecht, di Trieste”.
Il 13 giugno 1872 dopo un banchetto di congedo, cui partecipò il conte Zichy, l’ “Admiral Tegetthoff” partì da Bremerhaven accompagnata dalla Isbjörn da cui si separò nei pressi della Novaja Zemlja e, tre settimane dopo raggiunge Tromsö, dove imbarcò il capitano Carlsen. Da qui si diresse a nord-est verso la Novaja Zemlja con il programma di entrare nel Mar di Kara, per svernare in una delle sue baie e riprendere la navigazione con la stagione favorevole.
Subito dopo aver abbandonato le coste di questa isola la “Admiral Tegetthoff” venne circondata dalle masse di ghiaccio fluttuanti. Fu così costretta a navigare zigzagando verso nord, di fatto incastrata nella banchina, effettuando, ciò nonostante, continui rilievi meteorologici e oceanografici per circa un anno. Ma la deriva dei ghiacci in quella parte di Oceano, condusse la nave ed il suo equipaggio, verso una notte polare perenne, con una temperatura di 50 gradi sottozero.
L’equipaggio si organizzò per resistere all’inverno polare e, mentre alcuni marinai andavano a caccia di orsi polari, il comandante Weyprecht, iniziò a scrivere il resoconto di quei giorni, sicuro che l’aumento della temperatura avrebbe consentito di liberare la nave dai ghiacci e di poter così riprendere la navigazione. Ma l’estate arrivò e passò, le temperature non erano abbastanza alte e la nave rimase incagliata. Per l’equipaggio aumentò la consapevolezza di un altro inverno da passare sulla banchisa polare.
Il nuovo inverno arrivò infatti ben presto e fra l’equipaggio si verificarono le prime morti, i primi malati, mentre altri impazzirono. Mentre a nord si consumava la tragedia, in Europa intanto, le ricerche non iniziarono neppure. Tra gli organi politici vi era infatti la certezza che la spedizione fosse andata incontro a morte certa e che a nulla sarebbero valsi i soccorsi se non ad alimentare false speranze.
Il 20 agosto del 1873 intanto, gli uomini della “Admiral Tegetthoff“, notarono che la continua deriva della banchisa polare, li aveva portati vicino ad una terra sconosciuta. Payer raccolse pochi compagni intorno a sè ed organizzò una spedizione munito di cani e slitte. Con una determinazione che ben presto diverrà ossessione, decise che doveva raggiungere quella terra ad ogni costo. Iniziò così la marcia della piccola spedizione, che porterà il gruppo, a coprire una distanza di oltre quattrocento chilometri, in un territorio ostile composto da ghiaccio, crepacci, dirupi, torri di basalto. Alla fine, contro ogni previsione e rasentando la morte per sfinimento, Payer ed i suoi uomini raggiunsero il punto più estremo a 82° latitudine nord, qui piantarono la bandiera austro-ungarica, conquistando quella terra desolata e disabitata e battezzandola “Terra di Francesco Giuseppe”, in onore dell’Imperatore.
Il ritorno non fu più facile dell’andata. In tutto la spedizione Payer percorse ben ottocento chilometri, e quando finalmente raggiunse i compagni rimasti sul relitto della nave, improvvisato campo base, scoprì che la nave era ancora bloccata.
Nell’estate del 1874 si sperava che il caldo potesse fondere sufficientemente il ghiaccio, tanto da consentire alla “Admiral Tegetthoff” di liberarsi, ma il 21 agosto il tempo mutò e la nave fu di nuovo serrata fra i ghiacci. Carl Weyprecht, constatate le pessime condizioni della nave e consapevole che le scorte di cibo erano insufficienti per sopravvivere ad un altro inverno, diede ordine di abbandonare la nave. Così il 20 maggio 1874 i sopravvissuti caricarono i pochi viveri rimasti nelle tre scialuppe di salvataggio ed iniziarono una marcia forzata attraverso i ghiacci, in direzione sud, trainando le scialuppe su slitte improvvisate. Gli appunti scientifici furono ricopiati in più copie, mentre i campioni vegetali e minerali vennero abbandonati causa l’eccessivo peso. Marciarono per quasi tre mesi, fino a quando il 25 agosto 1874, in vista della costa siberiana non furono presi a bordo dalla goletta peschereccio russa “Nikolai”, in prossimità della baia dell‘isola di Novaja Zemlja.
Da allora fu tutto un tripudio di festeggiamenti: dalla Norvegia, poi giù ad Amburgo, poi a Vienna e a Trieste. Ovunque vennero festeggiati da folle numerose e gioiose. Weyprecht e Payer vennero insigniti della Croce di Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo, che comportava la possibilità di essere nobilitati. Agli altri spettarono comunque medaglie minori. A tutti furono offerti impieghi pubblici. Weyprecht tenne centinaia di conferenze ed una vera “febbre del Polo” pervase il paese. Ad ogni conferenza, il punto su cui il comandante batteva di più era il valore dell’ equipaggio ed ogni qual volta gli fosse possibile ribadiva che non avrebbe mai raggiunto gli stessi risultati con un personale nordico.
L’ultimo superstite della spedizione polare, il dalmata Antonio Zaninovich, morì nel 1937 a Trieste.