Porto di guerra di Pola
(Kriegshafen von Pola)

Dopo la perdita della città di Venezia nel 1848, l’ Ufficio Centrale Militare di Vienna si trovò nella necessità di individuare un nuovo porto militare. La scelta era tra i porti di Pola e quello di Trieste. Nel 1857 fu scelto definitivamente il porto di Pola soprattutto su decisione dell’ Arciduca Ferdinand Max.
Iniziò una frenetica e gigantesca attività di costruzione. Il già esistente Cantiere di Scoglio Olivi (Oliveninsel), detto anche Brodogradilište Uljanik in croato, fu ampliato mentre il cuore della piazzaforte navale diventava l’ Arsenale Navale (Seearsenal), costruito secondo i piani del tenente colonnello Karl Möring. Così nacque gradualmente a sud-ovest del Monte Zaro il quartiere navale con l’ Ospedale di Marina (Marine-Spital), la Chiesa della Marina (Marine-Kirche), le Carceri della Marina (Marine-Gefangenhaus), la Scuola Macchinisti (Maschinen-Schule), il Cimitero Navale (Marine-Friedhof) e il Circolo della Marina (Marine-Kasinò).
A Pola esistevano primi interventi già realizzati a partire dal 1855, in un quadro di nuove opere che contemplavano diversi settori, in primo luogo una catena di fortificazioni che andavano da Trieste a Cattaro, comprendente sedici stazioni di segnalazione e divisa in tre circuiti che facevano capo a Pola, garantendo un servizio che era basilare in un’ epoca in cui esisteva soltanto la rilevazione ottica.
Il circuito della città di Pola presentava un raggio utile di cinque chilometri con opere murarie numerose ma non omogenee, causa questa di aperte critiche in seno allo stesso ambiente militare, divise in due cinte, una interna con cinque forti ed una esterna con otto forti, mentre la zona di Fasana ne aveva altri otto. I forti “Maria Luisa” e “Punta Christo” difendevano l’ ingresso del porto. Sul lato sud della baia del porto si trovavano i forti “Musil”, “Max”, “Stoja”, “Bourguignon”, “Verudella” e “Cassoni”, sul lato nord della fortezza di “Monte Grosso”, i forti “Castellier”, “Cerella”, “San Giorgio”, a est della città, i forti “Mouvidal” e “San Michele”.
La difesa costiera attiva rispondeva, allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, all’ usuale standard internazionale, ma la realizzazione frazionata in più periodi comportava la necessità di modernizzazioni che il più delle volte erano state rimandate a seguito degli alti costi giungendo così al 1906, quando non fu più possibile rimandare i lavori a tempi migliori, essendo evidente anche il fatto che lo scudo delle numerose isole, isolotti e scogli prospicienti la costa dalmata aveva perduto ogni valore a fronte dello sviluppo del naviglio da guerra.
Nella primavera del 1914 si dava mano alla modernizzazione e al riarmo delle opere obsolete completando la cinta esterna con 50 batterie e 194 cannoni. Ma la difesa del lato mare presentava ancora una congerie di 120 cannoni e di mortai di vari calibri, cosa divenuta ormai inconcepibile.
Nulla mancava tra caserme, magazzini, depositi, istituti tecnici (antropometrico, idrografico, specola astronomica, balipedio (un poligono sperimentale per armi balistiche e di artiglieria), stazione radio “ultrapotente”), ospedale, tribunale, carcere, cimitero. Notevole soprattutto il grande Arsenale situato sullo Scoglio Olivi, con bacini di carenaggio galleggianti e in muratura, grandi officine coperte, laboratori, centro direzionale con documentazioni archivistiche e con una serie di modelli navali pregevoli di storico interesse (attualmente ne esistono due, conservati in bacheca, presso l’ “Adriaco Yacht Club” di Trieste).
Il porto militare principale contava scorte e supplementi per sette mesi per una guarnigione complessiva di 18.000 militari e marinai di varie nazionalità, austriaca, ungherese, polacca, céca, slovacca, croata, bosniaca, slovena, italiana. Si sentivano parlare tutte le lingue. Il punto più debole era il collegamento ferroviario con l’ esterno, conseguenza questa forse del fatto che la rete ferroviaria cadeva sotto il controllo dell’ esercito e non della marina.
Molta importanza assumeva il canale di accesso al porto, il Canale di Fasana che si doveva proteggere ad ogni costo. Singolare il fatto che quasi tutte le batterie portavano nomi italiani: Gruppo “Barbarigo”, gruppo “di Forte Forno”, batterie “Benedetto” e “Caluzzi”. A Brioni Minore si trovava la batteria “di Forte Minore” e la batteria “San Nicolò”. L’ ingresso meridionale del canale di Fasana era guardato dai forti “Peneda” e “Cavarollo”, dalla batteria “Naviglio”. A Brioni Maggiore il forte portava il nome di “Tegetthoff”. Esistevano inoltre dieci batterie mobili, spostabili a seconda delle necessità.
Allo scoppio della prima guerra mondiale il mare antistante venne chiuso prontamente alla navigazione con un vasto campo minato difensivo, steso a semicerchio con solo tre passaggi verso il porto di Pola e il canale di Fasana. La posa delle mine era prevista da tempo, ma imprevisto fu il gravissimo incidente accaduto proprio all’ inizio delle ostilità, nell’ agosto 1914, che aveva sorpreso e vivamente allarmato chi si era venuto a trovare al di fuori della propria residenza abituale, come i villeggianti e i viaggiatori della Dalmazia che si affrettarono a tornare a casa con uno o l’ altro dei piroscafi costieri con capolinea a Trieste. Il “Baron Gautsch” del Lloyd Austriaco, uno di questi, era partito da Cattaro il 12 agosto, con a bordo anche un numero imprecisato di richiamati dell’ esercito. Giunto nelle acque istriane il giorno dopo, il piroscafo, secondo le istruzioni ricevute verbalmente, aveva saltato la toccata di Pola proprio in ragione del campo minato ma, forse per non essersi tenuto più al largo, urtava una delle mine affondando in pochi minuti e provocando la morte di un numero impressionante di imbarcati.